Sindacato e Ordine insieme in piazza, in difesa della libertà di stampa e contro la precarietà
Libertà precaria, lavoro precario, vite precarie. La condizione del giornalismo italiano si può sintetizzare così. Una situazione non più sostenibile, che porterà il 22 novembre i Consigli nazionali della Federazione nazionale della Stampa italiana e dell’Ordine dei giornalisti a riunirsi in piazza Montecitorio, a Roma, a partire dalle 11. È la prima volta che accade. Non sarà l’ultima.
L’inerzia di governo e parlamento sui problemi del mondo dell’informazione non è più tollerabile. A essere a rischio è il diritto dei cittadini a essere informati.
Nel recente decreto sulla disciplina delle intercettazioni il governo ha introdotto elementi che, oltre a rendere inaccessibili numerose informazioni di interesse generale e di chiara rilevanza sociale, espongono i giornalisti al rischio di pene detentive nel caso di pubblicazione di materiale coperto da segreto. Una legislatura che si era aperta con l’impegno di depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa e di cancellare il carcere per i giornalisti si chiude, di fatto, con il rafforzamento delle norme che prevedono la condanna dei giornalisti alla reclusione. Si tratta di un bavaglio. Si vuole impedire ai cittadini di conoscere. Il tutto, in evidente contrasto con gli indirizzi della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Mentre aumenta il numero dei cronisti minacciati dalle organizzazioni criminali, non è stata introdotta alcuna norma per contrastare il fenomeno delle cosiddette querele bavaglio, utilizzate per intimidire i cronisti con richieste di risarcimento milionarie al solo scopo di impedire loro di occuparsi di temi giudicati scomodi.
Questa situazione, che indebolisce la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad essere informati, è aggravata dalla precarietà che pervade il mercato del lavoro. Sono aumentate le diseguaglianze. Con la recente legge di riforma dell’editoria, il governo ha stanziato decine di milioni di euro in aiuti diretti e indiretti alle imprese editoriali, ma soltanto per favorire i pensionamenti anticipati e gli investimenti pubblicitari. Nulla è stato fatto per contrastare il ricorso al lavoro irregolare e per imporre o pretendere un sia pur minimo impegno da parte delle imprese per il contrasto al precariato e per l’occupazione regolare.
Così si indebolisce l’informazione di qualità, si condannano le nuove generazioni di giornalisti ad un’esistenza precaria e si mette a rischio la tenuta democratica del Paese.