Diffamazione, Lorusso: «Dal presidente della Consulta un monito importante. Dal governo nessun segnale per il settore»
Intervistato sull’Annuario 2020 della Consulta, il presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio torna, fra gli altri, sul tema della riforma della diffamazione a mezzo stampa, affrontato dai giudici delle leggi con l’ordinanza n.37 del 2020. Sulla sanzione detentiva per i giornalisti, «ritenuta incompatibile con la nostra Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – ricorda – il termine concesso al legislatore è tuttora pendente (scade il 22 giugno 2021) e sarebbe augurabile che il parlamento manifestasse una maggiore sensibilità per una questione che tocca uno dei fondamentali della democrazia».
Una sollecitazione a rispettare il termine per l’approvazione di una norma abrogativa del carcere per i cronisti che «è un forte richiamo alla responsabilità», rileva Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana. «Purtroppo – osserva Lorusso – sono tanti i provvedimenti che riguardano la professione giornalistica che giacciono in parlamento e sui quali non si registra alcun passo in avanti. Oltre alla cancellazione della pena detentiva, è bloccata la proposta di legge di contrasto alle querele bavaglio e alle liti temerarie. A parole tutti riconoscono il ruolo fondamentale dell’informazione. Nei fatti, governo e parlamento, e i lavori preparatori del Recovery Plan lo dimostrano, hanno cancellato l’informazione e il settore dell’editoria dall’elenco delle priorità».
Per il segretario generale della Fnsi, inoltre, «a parte dichiarazioni generiche non si intravede alcuna volontà di mettere in cantiere provvedimenti per riforme strutturali e per sostenere concretamente il settore nella delicata fase di transizione al digitale. E non si registra alcun segnale sul fronte della difesa del mercato del lavoro e della salvaguardia dei livelli occupazionali, sempre più in caduta libera anche a causa di politiche pubbliche che favoriscono la precarietà».
In definitiva, «serve un cambio di passo – conclude Lorusso – che vada oltre le parole e le buone intenzioni».